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mercoledì 31 ottobre 2012

Le specie aliene.

Uno dei problemi che stiamo affrontando in questo momento in Italia e nel mondo è quello delle specie aliene: molte pratiche di commercio illegale oppure di liberazioni illegali o addirittura di introduzioni fatte senza competenza, liberano ogni anno specie alloctone nel nostro territorio che danneggiano la fauna autoctona. Testuggine dalle orecchie rosse (Trachemys scripta elegans), Gambusia (Gambusia affinis), Nutria (Myocastor coypus), Gambero killer (Procambarus clarkii) sono alcune delle specie aliene che stanno distruggendo le specie autoctone italiane, per non parlare dei danni all'ambiente come per esempio ha fatto la nutria da quando è stata introdotta negli anni '20 per quanto riguarda gli argini dei fiumi.
Un esempio del danno che possono fare specie alloctone è dato dal Coniglio selvatico (Oryctolagus cuniculus) introdotto dai britannici in Australia a fine '800 per vizi venatori. Con assenza di predatori il coniglio si diffuse in maniera esponenziale, generando milioni e milioni di generazioni (da una coppia di conigli in 3 anni possono nascere 3 milioni di discendenti in assenza di predatori). Questa colonizzazione portò dei danni ingenti all'ambiente (distruzione campi coltivabili e pascoli) e alle specie locali come per esempio il Ratto canguro (Aepyprymnus rufescens) che veniva sfrattato letteralmente dalle proprie tane e reso più vulnerabile ai predatori.
Come prima soluzione si cercò di ampliare l'esercizio venatorio, ma senza risultati, nonostante la caccia i roditori continuavano a moltiplicarsi; successivamente si provò con la Volpe (Vulpes vulpes), che insieme ai gatti portati sempre dai britannici avrebbe dovuto predare i conigli, ma anche questa soluzione andò a scapito del ratto canguro, preferito dai due carnivori perchè preda più facile e meno dispendiosa; addirittura la volpe raddoppiò i danni perchè dopo i ratti canguri andò a cacciare molti uccelli insettivori che si cibavano di invertebrati nocivi a molte piante australiane come l'Eucalipto (Eucalyptus sp.): quest'ultimo danno andò a scapito anche dei Koala (Phascolarctos cinereus), incolpato per la perdita sostanziale di specie di eucalipto, le cui foglie sono il cibo del simpatico orsetto che fu preso a fucilate e decimato (in questi anni furono aperte numerose oasi di protezione per i koala). Fu provato di tutto, l'ultima trovata quella più efficace venne dal Sud America, un virus che stava decimando le popolazioni sudamericane di coniglio selvatico, quindi si penso di importarlo il Australia per infettare alcuni esemplari che avrebbero dovuto diffondere l'epidemia.
Nei primi anni funzionò, infatti la popolazione di coniglio australiana ne risentì parecchio, poi però (un buon parassita non stermina mai il proprio ospite) si creò un equilibrio e ad oggi ancora i conigli non sono stati estirpati dall'Australia.
Questo esempio deve fare da monito per tutti coloro che illegalmente o senza competenza immettono nel nostro territorio specie aliene, già molte hanno danneggiato notevolmente molte zone di alta biodiversità italiana, però molto ancora si può evitare.
Foto di http://www.agraria.org/; Coniglio selvatico

Il cimitero degli elefanti.

A fine giugno in Gabon è stata presa un'iniziativa importante, con un segnale forte: è stato fatto un rogo di avorio preso dalle zanne di Elefante africano di foresta (Loxodonta cyclotis). Ogni anno infatti si assiste a una vera e propria carneficina, vencono abbattuti centinaia, migliaia di elefanti dai bracconieri; il Gabon è la Nazione africana con la parte più estesa di foresta e qui vive la più grande popolazione di elefante africano di foresta, pertanto grazie al governo è in atto una campagna di scoraggiamento e di lotta contro il bracconaggio.
Gli elefanti, come molti sanno, vivono in grandi famiglie dove i più anziani guidano i più giovani nelle difficoltà della vita; i bracconieri fanno una vera e propria carneficina, non limitandosi a uccidere solo un esemplare, ma tutta la famiglia e non con fucili normali ma addirittura con kalasnikov, facendo un danno ingente alla popolazione degli elefanti e alla foresta.
Ogni membro della famiglia di elefanti garantisce qualcosa al gruppo: i più anziani come insegnanti per i giovani, questi ultimi come nuova forza del branco del domani. Ma non sono utili soltanto a loro stessi, ma anche alla foresta: con le loro lunghe proboscidi mantengono gli alberi più alberi con un'ottima "potatura" e contribuiscono con gli escrementi alla crescita delle piante, quindi "no elefanti no foresta".
Il problema non è da poco perchè dopo gli elefanti toccherà alla foresta, poi agli altri animali e infine a chi toccherà?
Il WWF ha avviato una campagna di sostenimento al governo del Gabon, con la speranza che si riesca a combattere il brutto fenomeno del bracconaggio, ne va del bene di tutti non solo degli elefanti.
Foto di http://www.geochembio.com; Elefante africano di foresta

lunedì 29 ottobre 2012

Scuola, tecnologia e ambiente...

Da circa un mese e mezzo è ricominciata la scuola e in alcuni istituti italiani la tecnologia sta entrando in punta di piedi. Niente più zaini pesanti per gli alunni, niente più carta, quaderni e libri (riducendo peraltro la spesa per le famiglie, ma tablet, pc e smartphone con i quali seguire lezioni interattive.
Quindi un segnale importante, sia per le famiglie che risparmiano, sia per l'ambiente che risparmia in qualità di legname e alberi (e foreste). Inoltre ci sono lezioni di educazione ambientale, non proprio una materia che farà la media a fine anno, ma un'ora di relax parlando di natura, insegnando ai ragazzi a rispettarla e ad amarla; senza compiti o interrogazioni, pratiche che portano gli alunni a odiare varie materie fra cui latino, italiano (i Promessi Sposi, bellissimo romanzo, è un classico). Sempre utilizzando la tecnologia l'esperto di educazione ambientale, tramite il tablet, farà fare un viaggio virtuale agli studenti nella natura alla scoperta di animali, piante e paesaggi spettacolari.
Insomma, ci voleva, perchè la salvaguardia del nostro Pianeta deve partire soprattutto dai più giovani!!!

sabato 27 ottobre 2012

Un mare di plastica!!!

Ogni volta che andiamo in giro, non solo in città, per esempio al mare, o a fare una passeggiata in campagna o nei boschi troviamo una quantità innumerevole di rifiuti di plastica: bottiglie, accendini, scatoline, bicchieri ecc. Molte persone hanno poco rispetto di sè stessi prima di tutto e dell'ambiente che li circonda.
Proprio al mare troviamo spesso oggetti di plastica spiaggiata oppure che galleggia in acqua, andando a fare un danno enorme a tutto l'ecosistema marino.
Ogni anno vengono trovate tonnellate e tonnellate di plastica sulle nostre spiagge e altrettante in mare; non è solo un danno visivo, ma anche chimico: la plastica con la luce solare di scioglie in tante piccole particelle come il plancton, andando a depositarsi sul substrato marino, sulle spiagge e in sospensione nel mare. Pensate che queste particelle hanno raggiunto una densità maggiore del plancton; solamente respirare la plastica (inodore) può causare serie malattie polmonari (tumori), può essere ingerita da animali marini danneggiando il loro organismo e trasformare il nostro bellissimo mare in una discarica di plastica.
Forse non è solo colpa nostra, perchè le istituzioni adibite ai rifiuti a volte non aiutano, però possiamo fare molto, come buttare una bottiglia vuota negli appositi contenitori e non disperderla nell'ambiente, per degradarsi un oggetto di plastica ci impiega ca. 1000 anni, un pò troppo no!!!???
Foto di http://notizie.tiscali.it; un mare di plastica

venerdì 26 ottobre 2012

Rifiuti e uccelli

Ogni tanto si sentono alla televisione notizie sconvolgenti sui rifiuti, città anche di un certo valore artistico trasformate in intere discariche, per non parlare di molte campagne e boschi usati come pattumiere. Questo ha complicato la vita all'ambiente, ai suoi abitanti e a noi: le esalazioni della spazzatura sono dannose, provocano tumori vari e malattie gravi, danneggiano l'ambiente inquinandolo e distruggono interi ecosistemi.
Alcune specie di uccelli hanno visto occupare le proprie case (habitat) proprio dalla spazzatura, andando a svolgere le proprie attività vitali in comunione con la sporcizia. Sono state trovate a volte specie di notevole interesse naturalistico, anche in pericolo di estinzione come la Cicogna (Ciconia ciconia), costretta a trovare cibo fra i rifiuti: insieme a qualche ranocchio o insetto andavano a finire anche pezzi di gomma o di plastica, altamente dannosi per l'organismo di questi uccelli.
La spazzatura è un pericolo naturale e una realtà negativa della nostra società, l'informazione e l'azione di più persone possibili è la sola strada per risolvere questa calamità.
Foto personale; Cicogna (Ciconia ciconia)

giovedì 25 ottobre 2012

Esistono orsi polari equilibristi? ma certo...

Abbiamo presente l'Orso polare (Ursus maritimus)? Siamo abituati a vederlo nei documentari in quelle distese di ghiaccio e neve all'interno del Circolo Polare Artico, mentre caccia una foca oppure mentre accudisce i suoi cuccioli. Ebbene, se le cose continuano ad andare come stanno andando i nostri orsi non li vedremo più così, o peggio, non li vedremo più.
Il riscaldamento globale del pianeta sommato a molti fattori antropici (i soliti: caccia illegale, inquinamento, alterazione dell'habitat) stanno ridimensionando la popolazione; soprattutto il primo punto, con lo scioglimento dei ghiacci il posto per cacciare e vivere per gli orsi polari si sta sempre più riducendo, pertanto sono stati documentati alcuni esemplari che fanno gli equilibristi sulle scogliere a picco sul mare per potersi procurare un boccone (un uovo di uccello o qualche nidiaceo indifeso). Non è nella natura dell'Orso polare scalare scogliere: un bestione lungo più di 3m che pesa quasi una tonnellata non è la cosa migliore. Questi animali sono nati per correre sul ghiaccio, catturare foche e trichechi. Speriamo che la situazione migliori, altrimenti questi splendidi animali avranno sempre più difficoltà ad esistere e sinceramente ai miei figli vorrei far vedere un orso polare!!!
Foto personale; Orso polare

mercoledì 24 ottobre 2012

I corvi sono uccellacci del malaugurio? No, solo leggende metropolitane!!

I modi di dire spesso ci portano a fotografare alcune immagini o alcune situazioni per come non sono in realtà; molte volte vengono definiti i corvi come uccelli del malaugurio, inutili, invadenti e altre volte anche pericolosi: tutto ciò porta ad odiare una certa categoria di animali.
In realtà la famiglia dei Corvidi ha dei rappresentanti utilissimi e a volte indispensabili per molti aspetti; prendiamo la Nocciolaia (Nucifraga caryocatactes) per esempio, grazie a lei vive e si moltiplica il Pino cembro (Pinus cembra), una conifera esclusiva degli ambienti alpini e in particolare di alta quota. La Nocciolaia, infatti, si ciba dei pinoli di questo pino, facendone incetta per l'inverno: le scorte di pinoli vengono seppellite accuratamente in dispense scavate nel terreno dal corvide, successivamente serviranno per l'inverno, ma non tutte vengono ricordate, molte infatti rimangono dimenticate e da lì nascerà un nuovo pino.
Molti corvidi hanno, invece, colonizzato le nostre città, ma non perchè siano degli invasori, ma perchè si trovano bene insieme a noi. Gazze, taccole, cornacchie e corvi comuni trovano confortevole la vita in città: cibo gratis, dagli avanzi umani, luoghi sicuri dove nidificare. Spesso pagano anche l'affitto alle persone, come? Eliminando gli animali "dannosi" per noi (ratti in primis).
Ma nei corvidi ci sono delle specie molto affascinanti come per esempio il Corvo imperiale (Corvus corax) con dimensioni davvero notevoli, con un apertura alare che sfiora il metro e 30cm (la più grande specie di passeriformi): è stato ripreso molte volte che difende il nido addirittura dall'Aquila reale.
Un altro corvo molto bello è la Ghiandaia (Garrulus glandarius), dai colori molto appariscenti: non è raro trovare nei periodi del cambio del piumaggio piume celesti macchiettate di nero appartenenti a questo uccello.
Il mondo dei corvidi è molto sorprendente e molte volte non ne capiamo appieno la natura, invece di ascoltare le leggende metropolitane sarebbe meglio conoscerli.
Foto di http://upload.wikimedia.org; Ghiandaia

lunedì 22 ottobre 2012

Adattarsi come un Camaleonte!!!

Parlando di adattamento, come non citare il Camaleonte (Chamaeleo chamaeleon), un rettile che racchiude forse la perfezione dentro di sè.
Cominciamo con il dire che è una specie che molti crederanno esclusivamente di foreste tropicali, invece, il Camaleonte comune vive ed è originario del clima mediterraneo e se ne trova molti all'interno del bacino del Mare nostrum. Ci sono presenze in Nordafrica, intorno allo stretto di Gibilterra, a Creta, in Puglia e Sicilia, inoltre, è stato introdotto recentemente anche nel Lazio, nei boschi che circondano il lago di Albano. Per cui se avete occasione di trovarvi in uno di questi posti e ne trovate uno, non stupitevi perchè è casa sua.
Una delle caratteristiche principali sono gli occhi del Camaleonte, che si muovono l'uno indipendentemente dall'altro, dandogli una prospettiva a 360° dell'ambiente circostante: può accorgersi dell'arrivo di un predatore e allo stesso modo può individuare una preda oppure un partner per l'accoppiamento. Solamente quando è concentrato su una preda, focalizza entrambi gli occhi sull'obiettivo per sferrare l'attacco.
Durante la caccia, infatti, sfrutta la sua lunga lingua appiccicosa con una precisione incredibile anche da distanze notevoli. Con entrambi gli occhi riesce a focalizzare la preda, calcolare la distanza, tracciare la traiettoria e colpire con la precisione di un cecchino infallibile, tutto questo in pochi secondi: un predatore veramente eccellente.
La deposizione delle uova, invece, può essere problematica per la femmina: depone dalle 6 alle 40 uova all'interno di un tunnel scavato nel terreno da la stessa femmina, che poi lo ricoprirà con foglie secche e pagliuzza; questa pratica stanca e non poco la madre delle uova che spesso dopo lo sforzo non riesce a sopravvivere. Dalle uova escono adulti in miniatura, con già tutte le caratteristiche e le armi di un Camaleonte già grande, ma purtroppo non tutti sopravvivono: i predatori e le difficoltà della vita sono tante.
Tralasciamo questa brutta e tragica parentesi per parlare di un'altra forza del nostro piccolo rettile, ovvero la sua capacità di cambiare colore in relazione a quello dell'ambiente: grazie e dei pigmenti particolari del derma riesce ad assumere la colorazione più abbondante dell'ambiente circostante, in modo da nascondersi a prede e predatori (questo tipo di mimetismo si chiama criptico). A differenza di altri animali che adottano lo stesso tipo di mimetismo, il Camaleonte riesce a cambiare colore anche in base allo stato d'animo: c'è un colore per l'aggressività, uno per attirare un partner, uno per la difesa di un territorio ecc.
Infine, altro adattamente non ultimo per utilità sono tutte e quattro le dita opponibili che gli consentono di appendersi a qualsiasi superficie e cambiare posizione in qualsiasi momento, anche stare a testa in giù, fornendo una presa ferrea.
Di specie di Camaleonte al mondo ne esistono circa 80 e il comune è una di queste, sono quasi tutti arboricoli tranne un genere (Brookesia sp.) che vive esclusivamente in terra mimetizzandosi con le foglie secche.
Foto di http://www.ittiofauna.org; Camaleonte comune

sabato 20 ottobre 2012

Domani giornata del FAI

Domani (21/10/2012) sarà la giornata del FAI (Fondo Ambiente Italiano), dedicata alla cultura e all'ambiente. Sarò possibile fare delle donazioni in moltissime piazze d'Italia per risollevare la nostra cultura e il nostro ambiente, perseguendo il progetto di utilizzare i nostri monumenti e le nostre bellezze naturalo come risorsa primaria della nostra economia, quindi portando nuove risorse e nuovi posti di lavoro.
Per informarvi sulle piazze in cui si trova l'iniziativa e tutti gli eventi realizzati presso tanti monumenti e aree protette italiane potete andare sul sito del FAI http://www.fondoambiente.it/, oppure se siete impossibilitati ad andare una donazione di 2€ con un sms al numero 45503, il vostro contributo può fare molto!!!


Chi può adattarsi meglio di uno sciacallo?



In natura ci sono molteplici difficoltà e ogni animale si adatta all'interno di una nicchia ecologica ben definita che gli permette di sfruttare delle risorse ben precise.
Una specie che rispecchia in pieno la parola "adattamento" è senz'altro lo Sciacallo dalla gualdrappa (Canis mesomelas), un animale che a detta di molti si nutre solo di carcasse, considerato uno dei maggiori spazzini della natura.
Dietro a questo splendido canide si nasconde un mondo, dove sono tanti gli aspetti che deve affrontare. Consideriamo il fatto che lo Sciacallo dalla gualdrappa considera importantissima la famiglia: in genere in alcune popolazioni c’è una coppia alpha che ha il compito di procreare mentre tutti gli altri, quasi sicuramente fratelli maggiori o sorelle maggiori, si prendono cura dei piccoli della coppia alpha; questo è un metodo chiamato “dell’aiutante”, non sempre in un home range di una popolazione ci sono territori disponibili, spesso sono occupati da individui aggressivi e più esperti dei giovani che si trovano all’interno del branco, pertanto i cuccioli maggiori preferiscono essere d’aiuto alla coppia alpha imparando a gestire una famiglia, contribuendo al proprio patrimonio genetico e, perché no, un giorno se uno dei genitori alpha morirà, sarà uno dei giovani più grandi a ereditare il territorio. Questo metodo non funziona molto nei mammiferi, questo è uno dei pochi casi: solo alcune specie di canidi hanno questo tipo di adattamento (proprio di molti uccelli), altri sono i licaoni, i lupi e i coyote.
Un’altra cosa importante è senz’altro la ricerca del cibo, infatti gli sciacalli non sempre fanno solo gli spazzini, spesso cacciano: in scarsità di risorse non è raro vedere questi animali predare piccoli di gazzella o uccelli delle dimensioni di un fenicottero, spesso unendosi in più individui possono attaccare prede anche più grosse di loro. Ma a parte questo, è la ricerca di carcasse che dà maggior successo alla specie, infatti non c’è dispendio di energie per ottenerla, ma, ahimé, ci sono più concorrenti intorno alla stessa risorsa: se per cacciare deve competere con specie più grandi come leoni, ghepardi, leopardi e iene, per le carcasse oltre alle solite iene, ci sono anche avvoltoi e marabù, uccelli di notevoli dimensioni disposti a tutto pur di mangiare.
Quando due nicchie si sovrappongono, anche fra specie diverse, ci sono due metodi: l’interazione diretta e lo sfruttamento della risorsa. Il primo è rappresentato da comportamenti aggressivi diretti verso il concorrente: è il caso dei mammiferi come lo sciacallo; lo sfruttamento della risorsa è indiretto: viene, infatti, sfruttata la risorsa a discapito dell’altro, quindi una competizione indiretta “diminuisco la risorsa a tua disposizione a favore mio”. In entrambi i casi abbiamo un competitore “superiore” e uno “inferiore”, dove quest’ultimo deve fare i salti mortali per ottenere quello di cui necessita.
La natura, però, indica sempre una soluzione; nei millenni si sono sviluppati un sacco di adattamenti diversi per poter sopperire alle tante problematiche: sfruttamento delle risorse in momenti diversi della giornata, seguendo le mandrie in spostamento per avere sempre una media accettabile di risorse a disposizione oppure sfruttare parti diverse di una stessa risorsa (parti diverse di una carcassa). Tutto ciò ha portato le specie a vivere ed evolversi per milioni e milioni di anni, la natura è davvero sorprendente, quindi impariamo il termine “adattati come uno sciacallo”.

Foto personale; Sciacallo dalla gualdrappa

giovedì 18 ottobre 2012

Rubrica ecoturistica: il Museo di Scienze Naturali di Cesena

Dante nel XXVII canto dell'inferno scriveva "è quella cui il Savio bagna il fianco, così come'ella sie'tra il piano e'l monte, tra tirannia si vive e stato franco", frase rimasta come simbolo del Museo di Scienze Naturali di Cesena. Un museo dedicato al rapporto tra città e fiume Savio (che scorre dalle pendici del Monte Fumaiolo all'Adriatico), cioè il tema principale dei diorama, che rappresentano la vita del fiume e principalmente dell'avifauna che ci vive; ci sono moltissime riproduzioni molto belle, con esemplari di specie ornitiche legate al fiume, imbalsamate, appartenenti a ex cacciatori. La totalità degli individui esposti appartengono, infatti, ai figli di cacciatori ormai anziani, che hanno perso la loro malsana abitudine e si ritrovano in casa uccelli imbalsamati da non saper dove mettere, ecco che il museo si è offerto di accogliere nella sua struttura a scopo didattico-scientifico questi animali.
Non solo uccelli e diorama, nel museo troviamo anche reperti di laboratorio scientifico che appartenevano al Liceo Classico "V.Monti", oggetti antichi di secoli e secoli ad oggi non più in uso e considerati quasi "obsoleti".
Il museo, oltre ad avere una struttura interna molto affascinante, con corridoi, scale appartenenti al 1500-1600, presenta un ambiente esterno del tutto suggestivo: infatti di notevole interesse è la loggia veneziana nella piazza della Rocca Malatesiana congiunta nel '600 al palazzo Albornoz, senza dimenticare la piazza del Popolo e il Parco della Rimembranza che circonda la Rocca con una flora curatissima e unica.
Un museo, quello di Cesena, che si colloca quindi in un quadro storico, altro argomento importante che lo ritroviamo nel percorso interno.
Fortissima è l'attività didattica, è facile imbattersi in scolaresche e studenti che visitano e studiano all'interno del museo.
Un'importanza innovativa è data alla Criptozoologia, quella scienza che si occupa di specie animali ormai estinte, che trova in questo museo uno spazio notevole e dettagliatissime descrizioni e rappresentazioni.
L'invito a tutti è di andare a visitare questo museo che abbina natura e storia, arte e scienza, un connubio di cultura unico in Italia.
Foto di http://www.geoplan.it; loggietta veneziana (Museo di Scienze Naturali di Cesena)

mercoledì 17 ottobre 2012

Venerdì non perdetevi la nuova puntata di Pianeta Terra

Come ogni venerdì anche il prossimo (19/10/2012) torna Pianeta Terra, la trasmissione può essere seguita tramite questo blog con la funzione interattiva in alto oppure su www.assowip.it, mi raccomando non mancate!!!

lunedì 15 ottobre 2012

Wip a Guardistallo!!!

Ieri (14/10/2012) una piccola delegazione di Wippini composta da me, Giada, Giulia e Serena si è recata a Guardistallo (PI), un paesino medievale situato nella bassa Val di Cecina, per assistere e partecipare alla 46° sagra della polenta insieme al mercatino artigianale e al mercatino del baratto.
Un'esperienza davvero bella che ci ha dato la possibilità di conoscere la zona e avere confronti con varie realtà del luogo.
La trasmissione, che potete riascoltare su www.assowip.it, ovvero il sito di WipRadio, si è concentrata su vari temi: la storia di Guardistallo, la natura della zona e oltre al mercartino dell'artigianato e alla polentata, il mercatino del baratto.
Per quanto riguarda quest'ultimo punto, un'iniziativa davvero interessante che ha voluto rievocare un tipo di commercio che c'era prima che venissero inventati i soldi, in più in un periodo socio-economico non felicissimo per l'Italia.
Abbiamo avuto l'onore di essere invitati da Rocco Musolino, organizzatore del mercatino del baratto, che ci ha concesso pure un intervista che potete ascoltare nel corso della trasmissione sempre sul sito sopraindicato.
Abbiamo avuto tanti contributi fra cui anche il Sindaco di Guardistallo e la Banda degli Scatti, un'associazione di appassionati fotografi che ha dato vita ad una piccola mostra fotografica molto molto interessante.
Per saperne di più andate sul sito www.assowip.it e riascoltate la puntata.

I pescatori sostenibili

Fin qui abbiamo parlato molto di montagna, ma spostiamoci al mare, ovvero in un paesino chiamato Torre Guaceto (Brindisi); qui c'è un gruppo di pescatori che riesce ad ottenere il massimo dalla pesca sfruttando tecniche sostenibili, cioè che non danneggiano, ma favoriscono la biodiversità marina.
Abbiamo parlato spesso lo scorso anno, durante Pianeta Terra, del grosso calo degli stock ittici e della riduzione degli habitat marini, nonchè delle tante specie in pericolo a causa della pesca abusiva e illegale; molte tecniche invasive sono usate in gran parte del Mediterraneo e non solo, tecniche come strascichi sottocosta e grandi navi-fattoria che rastrellano il fondale, senza dimenticare di aggiungere a tutto ciò il solito inquinamento e l'innalzamento della temperatura del mare; tutto ciò ha portato a un calo di circa il 90% degli stock ittici.
Tornando però a Torre Guaceto, nel mondo della piccola pesca ci sono persone che con le loro tecniche riescono da qualche anno a mantenere la zona (fra l'altro anche Oasi WWF) in aumento per quanto riguarda le specie marine più ambite dai pescatori. Specie come la seppia, il dentice, l'orata, la spigola sono quasi triplicate negli anni: lo scrigno del ciclo vitale sottomarino, che avviene nel centro dell'oasi, viene costantemente protetto e monitorato dagli stessi pescatori, che vanno a prendere le loro prede al confine tra l'oasi e il mare aperto dove i pascoli abbondano di pesci di ragguardevoli dimensioni, contribuendo a mantenere in equilibrio le popolazioni delle varie specie (usando tutte tecniche legali ed ecosostenibili). Tutto ciò è stato possibile grazie a questa piccola comunità di pescatori che fra di loro si sono dati delle regole da rispettare; la fortuna è che questa iniziativa non è avvenuta solo a Torre Guaceto, ma in altre zone del Mediterraneo si sta adottando questo metodo, grazie anche al progetto MedPAN promosso dal WWF che raccoglie e rende disponibili le esperienze di varie aree marine protette.
Questo ha permesso di riunire le varie opinioni, aprire dibattiti e condividere problematiche; in più i pescatori hanno aperto un portale virtuale chiamato MedArtNet (www.medartnet.org) dove discutono di pesca, condividendo opinioni e obiettivi.
Grazie a questo tipo di notizie è giusto credere che si può fare davvero qualcosa per il nostro pianeta, non solo da parte di persone potenti, ma anche da parte dei più piccoli, cercando di diffondere il messaggio.
Foto di http://www.greenme.it; Mar Mediterraneo

Altri due Ibis colpiti

Dopo il tragico incidente di Marina di Cecina che ha visto un Ibis eremita ferito a colpi di fucile, ecco che un altro episodio simile si è verificato in questo week-end a San Vincenzo, dove ne sono stati colpiti 2.
La notizia riporta la morte di uno dei 2 Ibis, mentre l'altro è stato portato con urgenza alla Lipu di Livorno, ad avvertire la polizia è stato un cacciatore che ha preferito rimanere anonimo.
Un altro episodio gravissimo che si unisce a quello di Marina di Cecina.

sabato 13 ottobre 2012

Notizia sconvolgente!!

Ieri, leggendo l'articolo del Tirreno di oggi, è stato ferito a fucilate nella zona di Marina di Cecina (LI) (nell'area del Paduletto) un Ibis eremita (Geronticus eremita), specie rara di passo che sverna in Nordafrica. L'uccello è stato colpito all'ala sinistra e alla zampa destra da una scarica di pallini che l'hanno ferito gravemente.
L'animale adesso si trova nel centro di recupero Lipu di Livorno, dove ancora non sanno se è recuperabile: ha perso molto sangue e secondo il direttore sanitario Lipu potrebbero essere compromessi i tessuti molli della zampa e dell'ala.
Il gesto è grave, si tratta di un animale estinto in Europa da 400 anni e oggetto di un progetto di reintroduzione da parte del Waldrappteam di Vienna; ma non solo per questo motivo il gesto è da considerarsi grave, anche perchè è opera senz'altro di un'operazione di bracconaggio, in quanto la specie è completamente protetta, pertanto è illegale la caccia a questo splendido volatile.
Auguriamoci che l'Ibis riesca a vivere (sicuramente non volerà più) e che riesca almeno a rimanere nelle voliere Lipu. Aggiungo (anche se lo credo difficile) che il responsabile sia preso e severamente punito, certi gesti non sono perdonabili.
Foto di http://farm4.static.flickr.com; Ibis eremita

Oasi che ricchezza!!

Siete mai stati in un Oasi del WWF? Se no, è un'esperienza che vi consiglio perchè sono posti magici dove non esiste inquinamento, traffico, ciminiere di industrie e confusione; si respira aria buona e si vedono cose veramente entusiasmanti.
Circa il 10% del territorio italiano è protetto, fra Parchi Naturali, Oasi WWF e Lipu e Riserve naturali, ma ancora molto c'è da fare. Le Oasi possono essere viste non solo da un punto di vista conservazionistico della natura, ma come un complesso "imprenditoriale" che può dare anche opportunità di lavoro, soprattutto in questi periodi di contingenza: tanti ruoli servono in un ambiente di questo tipo, sia scientifiche che non.
All'interno di un'Oasi può inserirsi il Direttore o l'operatore Panda, piuttosto che il volontario WWF che si occupano di gestire l'Oasi con la conservazione dell'area e facendo visite guidate ai visitatori, il guardiano che porta in tour i bambini e si occupa della sicurezza, il giardiniere che si assume il compito di mantenere pulite e presentabili le aiuole intorno alle biglietterie e agli uffici; ma anche negozi di artigianato e di alimentari, dove i proprietari si prendono la responsabilità di vendere prodotto utilizzando le risorse che offre l'Oasi, sia alimentari sia come oggettistica artigianale. In questo modo il visitatore dopo la bellissima giornata nell'Oasi è spinto ad acquistare qualcosa di pertinente al luogo in cui è stato.
Quindi, le Oasi sono da considerare non solo come protezione naturalistica, ma anche come fonte socio-economica importante; le 120 Oasi del WWF stanno puntando a sensibilizzare gli enti pubblici e l'opinione pubblica (scusate la ripetizione di parola), per riuscire in questo intento.
http://www.wwf.it

Anfibi e rettili, una presenza importante anche in....montagna!!!


Gli anfibi secondo voi esistono in montagna fra i ghiacci? Ma certamente!! Sono presenze importantissime, specie che vivono esclusivamente in quegli ambienti. Tanti sono molto rari, non perchè ci stiano male, ma perchè sono purtroppo in via di estinzione. Una di queste molto bella, a mio avviso, è la Salamandra nera (Salamandra atra), che come dice il nome è totalmente nera, si può trovare dai 600 ai 2500m in zone umide o dopo una giornata di pioggia.
Foto di http://it.wikipedia.org; Salamandra nera
Un'altra specie di salamandra molto bella a vedersi è senz'altro la Salamandra giallo-nera (Salamandra salamandra), la si trova con facilità nei boschi fino ai 1500m, anche qui in giornate umide. Questa personalmente sono riuscito a vederla e sono incontri davvero fantastici, pensate che può raggiungere una lunghezza di 15-20cm, la salamandra più grande che vive in Italia.
Foto di http://it.wikipedia.org; Salamandra giallo nera
Un altro anfibio che vive nei laghetti glaciali fin verso i 2500m, molto raro da vedere, ma bello nei colori è senz'altro il Tritone alpino (Ichthyosaura alpestris), il maschio soprattutto è molto vivace nel colore della pelle.
Foto di http://www.claudiopia.it; Tritone alpino



Veniamo poi alle rane o simili, perchè la Rana temporaria (Rana temporaria) è un forte rappresentante dell'ambiente alpino, io l'ho incontrata tante volte, è una specie particolare, infatti è una delle poche rane che vive nei pressi della neve, la si può trovare anche in prossimità di una pozza ghiacciata; anch'essa si attesta fino ai 2500m.
Un altro è l'Ululone dal ventre giallo (Bombina variegata) rarissimo rappresentante dei laghetti alpino, sempre più a rischio di estinzione, ma molto colorato e bello a vedersi; vive tra i 1550m e i 2200m nei laghetti alpini e può raggiungere una lunghezza massima di 5cm.
Foto di http://lightstorage.ecodibergamo.it; Ululone dal ventre giallo







Foto di http://1.bp.blogspot.com; Rana temporaria

Passando ai rettili, parliamo di serpenti, ovvero di due vipere che si possono trovare sulle Alpi, una in particolare che vive fino a 2500m è il Marasso (Vipera berus), nonostante sia una vipera è pressochè "innocua", nel senso che ha il veleno (potente fra l'altro), ma difficilmente morde, infatti di fronte ad un pericolo preferisce scappare e lasciarsi il veleno per cacciare, però se messa alle strette....
Di sicuro più rara e più pericolosa è la Vipera dal corno (Vipera ammodytes), vive intorno ai 1500m fino ai 2000m, nelle pietraie e nelle colate di sassi; è la vipera più pericolosa e con il veleno più potente che abbiamo in Italia e una delle più pericolose d'Europa, è aggressiva a differenza del marasso, se minacciata si chiude a ciambella e si prepara ad attaccare: il veleno è composto da delle neurotossine che agiscono direttamente sul cervello e delle emotossine anticoaglulanti che non fanno chiudere la ferita portanto ad una perdita copiosa di sangue, bella da vedere ma da lontano!!! Prende il suo nome dal piccolo corno che si trova sul naso.
Foto di http://www.scoprirecamminando.it; Vipera dal corno

Foto di http://capubianco.files.wordpress.com; Marasso
Altri due rettili certamente meno pericolosi delle vipere sono il Colubro liscio (Coronella austriaca) e la Lucertola vivipara (Zootoca vivipara); il primo è un serpente non velenoso che abita i luoghi umidi fino ai 2200m, mentre la Lucertola vivipara, sempre in luoghi umidi e acquitrini, vive anche fino a 3000m: questa lucertola è particolare rispetto ad altri lacertidi perchè invece di deporre le uova, partorisce piccoli vivi, quindi da qui il nome vivipara.
Foto di http://upload.wikimedia.org; Lucertola vivipara
Foto di http://www.nmragazzi.com; Colubro liscio



giovedì 11 ottobre 2012

Alpi, l'acqua è a rischio!!!

La Alpi rappresentano uno degli scrigni di biodiversità più importanti al mondo, con 30mila specie animali (solamente per citare la fauna), tra cui molte di grande rilievo mediatico: l'orso bruno, il lupo, la lince, lo stambecco, il camosco, il cervo, l'aquila reale, il gipeto; 20mila specie di invertebrati e 13mila specie di vegetali (39% della flora europea; di tutta questa biodiversità circa l'8% è endemica, cioè esclusiva del territorio alpino.
Il pericolo maggiore per le Alpi sta nella disponibilità idrica, nonostante  siano il serbatoio d'acqua più importante d'Europa: danno vita infatti a importantissimi fiumi quali il Reno, il Rodano e il nostro Po. Questo paradosso è dovuto all'urbanizzazione, al turismo di massa, all'agricoltura intensiva, lo sfruttamento ai fini idroelettrici e i cambiamenti climatici; ma soprattutto il penultimo motivo sta prendendo sempre più piede.
Circa il 10% dei corsi d'acqua alpini mantiene la sua naturalità.
Tornando al punto dello sfruttamento per fini idroelettrici, la domanda è sempre più alta dovuta anche agli incentivi per le fonti rinnovabili, andando ad intaccare quei torrenti alpini ancora naturali.
Un altro fattore importantissimo è il turismo di massa e ciò che ne deriva: l'uso crescente di neve artificiale, infatti, aumenta l'erosione e il rischio idrogeologico ripercuotendosi sulla biodiversità (la neve artificiale pesa più del doppio di quella naturale).
A Selva di Val Gardena per esempio, in Trentino Alto Adige, sono stati cancellati 20mila metri quadrati di boschi e pascoli per costruire un enorme bacino artificiale con 70mila metri cubi d'acqua per alimentare i cannoni da neve. Secondo un calcolo del WWF per circa 23.800 ettari di piste con impianti di innevamento vengono usati circa 52-95 milioni di metri cubi d'acqua ogni anno (=cosumo domestico di acqua di 1 milione di italiani).
Anche i cambiamenti climatici concorrono per tutto ciò, infatti con l'innalzamento globale della temperatura molti ghiacciai si stanno sciogliendo, mettendo a rischio la vita di tantissime specie di invertebrati che dipendono dai ghiacciai.
Aggiungo, infine, che anche la presenza di molte specie legate all'acqua è a rischio, una su tutte la lontra europea, presente sempre meno sulle Alpi, addirittura in Trentino la popolazione si è ridotta a poche unità e in molte valli si è addirittura estinta.
Foto personale; Lago di Bombasel, laghetto glaciale (Valle di Fiemme, M.te Cermis)


mercoledì 10 ottobre 2012

Biowatching

Un attività molto bella è senz'altro il biowatching: giornate trascorse in mezzo alla natura osservando con attenzione ogni minimo componente, rocce particolari, paesaggi, piante e fiori di tutti i tipi, animali, dai piccoli vertebrati fino ai grandi mammiferi, senza dimenticare l'avifauna che in questi casi occupa la maggior parte dell'attenzione di un naturalista.
Basta poco per cominciare a farlo: vestiti non troppo vistosi (colori non accesi), un binocolo, piccole guide per riconoscere ogni componente della natura (la guida per gli uccelli, per gli altri animali, per i funghi, per gli alberi, per i fiori, per i minerali e le rocce o qualsiasi cosa susciti il vostro interesse), un taccuino dove segnare le osservazioni e gli avvistamenti, nonchè il comportamento di una determinata specie, disegnando se ne siamo capaci e infine una macchina fotografica, si può scoprire tante cose e ci si può divertire davvero un sacco.
Pubblico qui sotto qualche foto che io stesso ho scattato durante questa attività.
Foto personale; Amanita muscaria

Foto personale; frutti di Rosa canina

Foto personale; Merlo acquaiolo

Foto personale; un fiore del genere Gentiana sp.

Venerdì nuova puntata di Pianeta Terra

Venerdì torna con tanti altri contenuti interessanti l'appuntamento con Pianeta Terra, ore 19:30, che potrete seguire sul sito Wip Radio www.assowip.it oppure su questo blog clikkando la funzione in alto. Se ve la perdete non temete potete riseguirla qui, oppure sempre sul sito o sulla pagina di Spreaker del programma. Vi aspetto.

Biodiversamente

Ricordo che il 27-28 ottobre torna Biodiversamente, festival dell'ecoscienza. Sarà possibile partecipare a tutti gli eventi, gratuitamente, nei musei scientifici, parchi naturali, orti botanici e acquari di tutta italia.
Per informarvi su quali di questi aderiscono al festival ecco a voi il link wwf.it/biodiversamente.

martedì 9 ottobre 2012

Fauna nel Parco Naturale di Paneveggio Pale di San Martino

Abbiamo scritto di alberi e foresta, parliamo anche degli animali che possiamo trovare nel Parco.
Fra quelli di maggior interesse mediatico, gli ungulati la fanno da padrone con il Cervo (Cervus elaphus), il più rappresentato: nonchè il simbolo del Parco. Questo animale è imponente e può arrivare anche a 190kg di peso nel maschio, diciamo il più grande ungulato europeo insieme all'Alce. Non mancano i Caprioli (Capreolus capreolus), con maggiore densità nella Val Venegia dove la popolazione di Cervo è meno importante, infatti a differenza dal resto della Val di Fiemme, il Parco di Paneveggio ha una minor densità di Caprioli a favore di un'importantissima popolazione di Cervo. Fra i caprini, amanti delle alte quote, con prevalenza sulle Pale di San Martino e sul Lagorai troviamo i Camosci (Rupicapra rupicapra): negli ultimi tempi la popolazione del Parco si è ridotta a causa della rogna sarcotipica, malattia che colpisce prevalentemente i caprini. Un altro rappresentante di questa sottofamiglia dei Bovidi è senz'altro lo Stambecco (Capra ibex), oggetto di un'operazione di reintroduzione che va avanti dal 2000 e che a causa della stessa malattia che ha minato la popolazione di Camoscio, ha subito qualche rallentamento (vi rimando a leggere l'intervista a Piergiovanni Partel qualche post più sotto).
Foto personale; Cervi del recinto di Paneveggio
 Per quanto riguarda l'avifauna la regina dei cieli è senz'altro l'Aquila reale (Aquila chrysaetos): la popolazione del Parco è buona e negli ultimi anni in crescita, io personalmente ogni volta che faccio un giro nel Parco ne vedo almeno una. Sono presenti tutti e 5 i tetraonidi di montanga: Gallo cedrone (Tetrao urogallus), Gallo forcello (Lyrurus tetrix), Coturnice (Alectoris graeca), Pernice bianca (Lagopus muta)
 e Francolino di monte (Tetrastes bonasia).
Ci sono circa 80 specie di uccelli nidificanti come molti picchi tra cui il Picchio nero (Dryocopus martius), Picchio rosso maggiore (Dendrocopus major), Picchio tridattilo (Picoides tridactylus), Picchio muratore (Sitta europea) e Picchio verde (Picus viridis). Molti silvidi tra cui il Regolo (Regulus regulus), oppure i Paridi come la Cinciallegra (Parus major), Cinciarella (Cyanistes caeruleus), Cincia dal ciuffo (Parus cristatus), Cincia mora (Parus ater), Cincia bigia alpestre (Parus montanus). Fra i Corvidi come non dimenticare la Nocciolaia (Nucifraga caryocatactes), che con il suo laborioso via vai da un Pino cembro all'altro si procura i pinoli di cui è ghiotta nascondendoli in numerose dispense che non tutte vengono ricordate, contribuendo alla proliferazione del Pino cembro sulle Alpi; il Gracchio alpino (Pyrrhicorax graculus), la bellissima Ghiandaia (Garrulus glandarius), il maestoso Corvo imperiale (Corvus corax), che con le sue dimensioni è in grado di difendersi perfino dall'Aquila reale.
Foto da www.ittiofauna.org; Aquila reale

Foto da http://ibc.lynxeds.com/; Gallo cedrone

Proseguendo con il resoconto della fauna del Parco ci sono altre specie molto interessanti come la Lepre variabile (Lepus timidus), la Marmotta (Marmota marmota), l'Ermellino (Mustela erminea), la Volpe (Vulpes vulpes), il Tasso (Meles meles), fra i rettili il Marasso (Vipera berus), una Vipera particolare che si trova prevalentemente in montagna e fra gli anfibi cito volentieri la Rana temporaria (Rana temporaria), la Salamandra nera (Salamandra atra), la Salamandra pezzata (Salamandra salamandra), l'Ululone (Bombina variegata).
Fra i grandi predatori vi rimando all'intervista di Piergiovanni Partel poco più sotto, in quanto le parole che potete leggere sono molto precise ed esaustive in merito.
Foto personale; Marmotta



lunedì 8 ottobre 2012

Copertura arborea

Il Parco Naturale di Paneveggio Pale di San Martino è coperto da una notevole densità arborea. Per la maggiorparte troviamo Abete rosso (Picea abies) che si trova per lo più tra i 1500 e i 1800m s.l.m.; la foresta di Abete rosso copre per circa l'85% il territorio del Parco. Salendo di quota fin oltre i 2000m troviamo anche altre conifere: il Larice (Larix decidua) e il Pino Cembro (Pinus cembra).
Il Larice in particolare ha la caratteristica di essere fra le uniche conifere al mondo a perdere le foglie per l'inverno.
Nel Parco a quote più basse dell'Abete rosso troviamo anche l'Abete bianco (Abies alba): lo si può osservare soprattutto intorno a Bellamonte, nella parte più occidentale del Parco, ovvero sotto la zona di Paneveggio, oltre il lago artificiale. Questo abete si differenzia dal rosso per la diversa posizione dei coni ("all'insù" anzichè "all'ingiù") e si chiama Abete bianco perchè sotto gli aghi si può notare una piccola striscia bianca.
Per quanto riguarda le latifoglie a quote più basse: Pioppo tremulo (Populus tremula), Betulla (Betula pendula), Sorbo degli uccellatori (Sorbus aucuparia), Acero montano (Acer pseudoplatanus) e Salici (Salix appendiculata e Salix cuprea).
Foto personale; foresta di Abete rosso in Val Venegia

Intervista a Piergiovanni Partel, tecnico faunistico del Parco Naturale di Paneveggio Pale di San Martino



1 Mi ricordo che sei tecnico faunistico, se non sbaglio, per cui la prima domanda è cosa fa un tecnico faunistico?

Il mio lavoro consiste nel pianificare e gestire tutte quelle attività che un Parco svolge nell’ambito dei propri programmi, finalizzate alla conservazione degli aspetti faunistici.
In particolare mi occupo di pianificare e coordinare le attività di monitoraggio e di ricerca scientifica che vengono svolte sulla fauna selvatica.
Inoltre verifico che i Progetti che si intendono realizzare nel Parco siano compatibili con la salvaguardia degli aspetti faunistici, con particolare riferimento alla tutela dei periodi particolarmente critici per la fauna, quali ad esempio il periodo riproduttivo.

2 I piani di reintroduzione di specie faunistiche e floristiche sono alcune delle attività di un parco, da cosa sono caratterizzati e quali sono le tempistiche per ultimare un progetto in questo senso?

Le reintroduzioni sono degli interventi gestionali che vengono attuati come ultimo tentativo per riportare una determinata specie in un territorio da cui è scomparsa. Sono pratiche complesse e caratterizzate da una elevata percentuale di insuccesso e per questo devono essere attentamente pianificate prima di essere avviate.
Questi interventi sono regolamentati da una specifica normativa che prevede in particolare che una operazione di reintroduzione deve essere anticipata da uno studio di fattibilità che indaghi in particolare i seguenti aspetti:
- inquadramento del progetto nella strategia di conservazione della specie;
- presenza delle condizioni che fanno di un rilascio di animali una reintroduzione propriamente detta;
- presenza pregressa della specie in tempi storici;
- permanenza delle condizioni ambientali uguali al periodo di estinzione della specie;
- assenza delle cause che hanno portato all’estinzione della specie;
- compatibilità del progetto con l’attuale situazione ambientale e sociale;
- analisi critica dei possibili fattori limitanti per lo sviluppo della popolazione immessa;
- analisi critica delle problematiche ambientali e sanitarie legate alla reintroduzione.
In particolare le reintroduzioni consistono nel reperire da un nucleo vitale di una determinata specie alcuni soggetti, che vengono poi traslocati in un’area in cui la stessa specie si è estinta.
Le modalità e le tempistiche con cui si svolge un’operazione di reintroduzione variano da specie a specie, dal numero di soggetti che si possono reperire per formare un nuovo nucleo in grado di generare una popolazione vitale e da eventuali problematiche che possono insorgere nel corso del progetto.
Nel caso del Parco di Paneveggio Pale di San Martino abbiamo in corso un’operazione di reintroduzione sullo stambecco che è stata avviata nel corso del 2000 e che è ancora in atto, in quanto l’arrivo della rogna sarcoptica (malattia parassitaria del camoscio e dello stambecco che può provocare elevate mortalità), ha ridotto il numero di soggetti presenti nella neocolonia.

3 Quali sono i progetti in ambito faunistico del Parco di Paneveggio attualmente, se puoi descriverli brevemente?

Oltre al progetto di reintroduzione dello stambecco il Parco ha in atto una serie di monitoraggi e ricerche scientifiche, tra questi un importante calendario di monitoraggi su varie specie (tetraonidi in primis) che garantiscono l’acquisizione di dati aggiornati sulla dinamica di popolazione.
Per quanto riguarda la ricerca scientifica allo stato attuale il Parco sta lavorando su progetti quali lo studio dei Lepidotteri notturni, lo studio dei Coleotteri Cerambicidi e lo studio della biologia del gallo cedrone.

4 Qualche tempo fa ho partecipato in piccola parte durante il mio stage universitario ad un progetto sul Gallo Cedrone, che risultati ha portato questo progetto e com'è attualmente la popolazione di questo tetraonide all'interno del Parco?

A partire dall’anno 2009 l’Ente Parco Naturale Paneveggio - Pale di San Martino ha avviato una ricerca sulla biologia del gallo cedrone, al fine di approfondire lo status della specie e in particolare le motivazioni della sua rarefazione, per poter individuare efficaci misure di conservazione.
Questa ricerca, che prevede la cattura e la marcatura di alcuni individui, ha permesso fino ad ora di munire di radiocollare quasi trenta galli cedroni, che sono poi stati monitorati con l’ausilio della radiotelemetria, tecnica che permette di localizzare la posizione del singolo soggetto a distanza.
La ricerca sta evidenziando dati importanti; tra gli aspetti più interessanti risultano l’elevata sopravvivenza dei soggetti adulti e il basso successo riproduttivo della specie, nonché la scoperta che l’alta percentuale di femmine senza nidiata deriva soprattutto dall’importante tasso di predazione dei nidi, causato sia da mammiferi (volpe) che da corvidi. Altro dato interessante risulta essere la conferma che l’elevata mortalità dei pulli nelle prime settimane di vita dipende, in primis, dalle condizioni meteorologiche.
In merito alla consistenza del gallo cedrone nel Parco dal 1992 vengono attuati i censimenti primaverili sulle arene di canto, e dal 2008 quelli relativi ai censimenti tardo estivi con i cani da ferma. Lo status della specie nell’ambito dell’area protetta appare positivo, in controtendenza a quanto succede in altre realtà alpine in cui il tetraonide è in regresso. Nel corso del 2011 il censimento primaverile ha registrato il numero massimo di galli cedroni maschi del periodo 1994-2011, con una media di 2,5 maschi per arena di canto.

5 Qualcosa sulla situazione della fauna del Parco con una parentesi sui grandi predatori.

Complessivamente la situazione faunistica nel Parco può essere definita molto buona. Nell’area protetta, difatti, sono presenti tutti e cinque i galliformi alpini, situazione che oggigiorno si può riscontrare raramente in altre realtà alpine. Il cospicuo numero di specie di uccelli nidificati (più di 80) rapportato alle dimensioni relativamente piccole dell’area (20.000 ettari circa) rivela una grande diversità ambientale e l’importanza di questo sito nelle strategie di conservazione ambientale.
Per quanto riguarda i grandi predatori (lince, lupo, orso) al momento attuale non ci sono evidenze della loro presenza nel Parco. Tuttavia, negli ultimi anni alcuni esemplari di orso provenienti sia dalla Slovenia che dal Parco Adamello Brenta hanno frequentato anche il territorio del Parco.
Nell’ultimo decennio sulle Alpi si sta assistendo ad un’importante espansione degli areali di distribuzione di orso e lupo, nel primo caso dovuti soprattutto all’aumento della popolazione Trentina che recentemente ha visto alcuni suoi esemplari congiungersi con la popolazione slovena.
Anche nel caso del lupo recentemente si è assistito al contatto tra le popolazioni italiane e quelle slovene. All’inizio del 2012, infatti, un lupo maschio, radiocollarato in Slovenia, ha raggiunto le zone limitrofe al Parco e successivamente si è spostano sui monti Lessini (nel Veronese) dove si è unito ad una lupa proveniente dalla popolazione italiana.
Le prospettive sono interessanti e prefigurano la possibilità, nei prossimi anni, di assistere all’arrivo di ulteriori soggetti nelle nostre aree.